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Corpo a corpo

di Andrea Rollo

 

Esistono molti termini per identificare metodi e tecniche di combattimento militare corpo a corpo. Close Combat, letteralmente “Combattimento Ravvicinato”, è comunque il termine con cui generalmente ci si riferisce al combattimento a corta distanza, e include tecniche più o meno letali a seconda dello “spectrum of violence” o “continuum of force” definito dalle regole di ingaggio o dalla legislazione vigente nel luogo in cui ci si trova ad operare. In base poi all’utilizzo di armi, bianche o da fuoco, ed alla distanza di combattimento si distingue in Close Quarter Battle, Combatives e Hand to hand combat. Nello specifico, con il termine Close Quarter Battle o CQB, si identifica il combattimento ravvicinato con armi da fuoco, al livello tattico di squadra/plotone, che implementandosi ed adattandosi ad altri fattori propri delle aree urbanizzate diventa UO (Urban Operations), sigla che ha sostituito MOUT (Military Operations in Urban Terrain). Si utilizza invece il termine Combatives per il combattimento disarmato alla corta distanza. La parola Combatives indica anche la fusione in un unico sistema di tecniche derivanti da differenti arti marziali e sport da combattimento idonee ad essere applicate, con rapidità ed efficacia, in azioni militari. Infine, con il termine Hand to hand combat, abbreviato HTH o H2H, si definisce il combattimento militare a cortissima distanza che non presuppone l’utilizzo di armi da fuoco. Sebbene il termine è tradotto “combattimento a mani nude”, l’H2H include in realtà tecniche di difesa con armi utilizzabili a distanza di lotta, ad es. coltelli, bastoni, o qualsiasi altro oggetto idoneo a diventare un’arma improvvisata, come un badile da trincea o addirittura un’arma da fuoco scarica. Nato per identificare principalmente il confronto tra due militari appartenenti a fazioni opposte sul campo di battaglia, l’H2H è oggi impiegato in qualsiasi situazione di combattimento tra due o più individui, siano essi civili, militari o appartenenti a corpi di polizia. Con qualsiasi termine li si indichi, la maggior parte dei metodi di combattimento ravvicinato adottati dalle truppe e soprattutto dai reparti d’élite e dalle forze speciali delle diverse Forze Armate del mondo, presentano una caratteristica comune: l’inserimento nel loro repertorio di tecniche di Kali. Originario dell’arcipelago filippino, il Kali conosciuto anche come Arnis o Eskrima, a seconda della regione geografica in cui viene praticato, è un’antica arte marziale specializzata nell’uso delle armi bianche. A differenza di qualsiasi altra disciplina marziale, in cui le tecniche armate rappresentano la fase finale del loro studio, il praticante di Kali impara fin dalla prima lezione ad utilizzare un’arma lunga, il bastone, per poi passare allo studio di un’arma corta, il coltello ed infine applicare i concetti appresi nel combattimento armato a quello a mani nude. Lo stesso principio si sviluppa in seguito nella possibilità di applicare strategie di combattimento, schemi e metodi di base flessibili utilizzando qualsiasi oggetto della vita di tutti i giorni (chiavi, penne, ecc.) quale strumento di difesa occasionale. Altro principio del kali filippino è l’importanza delle tecniche di offesa, attraverso le quali è possibile dedurre, automaticamente, quelle difensive. Ad esempio: studiando il modo di colpire un avversario al fine di ucciderlo, si imparano i punti vulnerabili del corpo da difendere in caso di aggressione. Viceversa, è necessario conoscere e saper maneggiare un’arma per potersi difendere da un attacco di un avversario armato. Tali peculiarità, l’ecletticità e la versatilità del metodo di combattimento filippino, lo attagliano dunque perfettamente alle esigenze dei reparti militari. Concepito dalle popolazioni locali per difendersi dagli attacchi dei pirati cinesi e giapponesi, il Kali trovò di fatto facile applicazione nelle tre guerre per l’indipendenza delle Isole Filippine contro gli invasori spagnoli, americani ed infine giapponesi. In altre parole, una cultura storica forgiata dal susseguirsi di occupazioni straniere ha reso il kali filippino un sistema di lotta attuale ed in costante evoluzione. La ricerca di un’estrema praticità ed efficacia, unita ad un apprendimento semplice e speditivo e alla facilità di traslare i suoi principi agli attuali strumenti di ordine pubblico ed autodifesa in dotazione ai reparti (manganello, tonfa, bastone telescopico, ecc.), hanno introdotto a pieno titolo questa disciplina nel settore della security a 360°; il personale di forze armate terrestri, navali e aree, appartenenti a corpi speciali militari e di polizia, operatori di sicurezza civili, agenti preposti al controllo frontiere e anti immigrazione clandestina, personale di sorveglianza in carceri e penitenziari, o in incognito per la sicurezza in volo annoverano nel loro bagaglio tecnico-professionale la conoscenza di tecniche di kali filippino. A tal proposito è doveroso menzionare il MAC, Modern Army Combatives, un programma che include tecniche di Ju-Jitsu brasiliano, boxe thailandese e kali filippino, sviluppato da un ex-ranger americano ed adottato dall’esercito statunitense con l’US Army Field Manual FM 325.150 nel 2002 quando venne istituita la “US Army Combatives School” in Georgia. Un altro istituto di formazione americano in cui si insegnano tecniche di kali filippino è il Martial Arts Center of Excellence in Virginia, dove tutti i Marines si addestrano nel Marine Corps Martial Arts Program (MCMAP). Particolarità di questo programma è che, oltre ad adottare un sistema di cinture colorate tipico di molte arti marziali asiatiche, si studiano tecniche dal diverso grado di letalità, affinchè in circostanze reali si possa esercitare la “quantità” di forza adeguata e proporzionata alla situazione contingente. Questa poliedricità risulta indispensabile per l’ampia gamma di attività in cui i soldati moderni, a seconda dello scenario, si trovano ad operare. Infine, è interessante notare come il motto del programma “One mind, any weapon!” riprenda esattamente il principio cardine dell’arte marziale filippina. Oltre all’aspetto puramente tecnico, minimo comune denominatore dei metodi di combattimento militare corpo a corpo rimane la funzione di far accrescere nei soldati le qualità di carattere e morali, la prestanza fisica e la sicurezza in se stessi, attraverso la disciplina, il sacrificio e l’impegno profuso durante lo svolgimento di tali attività, sviluppando così il senso di appartenenza al gruppo e aumentandone il morale.

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06 Apr, 2016

Tecnica

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